|
|
Книги Dovlatov Sergej
|
«Sergej Dovlatov è uno dei più conosciuti scrittori russi contemporanei. Insofferente nei confronti di ogni forma di coercizione del potere ebbe non pochi problemi nell'ex URSS che rappresentò in una specie di epos al contrario popolato di personaggi balordi, di figure strampalate, capaci di un eroismo di bassissima lega, ma umane e simpatiche. Lo stile di Dovlatov prosegue la grande tradizione dell'umorismo russo calato nella contraddittorio periodo che condurrà nel 1991 alla dissoluzione dello stato Sovietico. Opera esemplare in questo senso è La valigia, pubblicata da Sellerio, in cui un numero incredibile di figure strampalate concorrono a creare un panorama umano decadente, ma non per questo meno affascinante. Un libro «caldo, vivo e molto divertente» come sostengono Carlo Fruttero e Franco Lucentini.» |
|
Il genio di Dovlatov, uno dei grandi umoristi della letteratura russa, consisteva nella capacità di sentire e di esprimere la paradossalità universale. La quotidianità dell'esistenza dell'uomo sovietico, per esempio, ma anche l'american way of life come vissuta da un emigrato di ultima generazione venuto in America per poter pubblicare, fino al paradosso connaturato in uno scarafaggio (che lui diceva di aver trovato in America per la prima volta). Di conseguenza, i suoi protagonisti erano lui stesso, in primo luogo, e la sua esistenza di anarchico drop out nelle maglie ormai rilasciate dell'ultima URSS o alle prese con le strane mistiche capitalistiche del nuovo mondo della libertà; e poi gli stralunati artisti e vagabondi suoi compagni. Una specie di perenne generazione beatnik di matrice e cultura sovietica a cui ha dato l'immortalità, che non può esistere più dopo la fine dell'Unione Sovietica, ma costituisce un bacino illimitato di umorismo e di storie non meno della burocrazia zarista immortalata da Gogol'. Con la particolarità che Dovlatov poté rappresentarla, per così dire, dagli Urali all'Atlantico, nell'atto di arrangiarsi in URSS come in America, dopo l'emigrazione. |
|
«Anarchico, vagabondo, individualista, solidale con ogni eversione solitaria: le narrazioni di Dovlatov posseggono un'incantevole forza di immedesimazione per il lettore. Voce narrante e protagonista insieme di storie che hanno l'inconfondibile marchio del vissuto, la prosa rapida e classica di Dovlatov dà un «ordine lirico» — è stato detto — a un caos naturale. E trascina in viaggi, lungo il percorso di una trama, in un mondo popolato di umoristi naturali, che esprimono la totale insensatezza esistenziale, la casualità che stringe nel paradosso ogni genere di personalità: siano essi i confusi emigrati ex dissidenti, siano gli stralunati ubriaconi, mezzi intellettuali mezzi barboni, suoi amici nell'URSS anni Settanta, come in questo romanzo.» |
|
«Rivisitazione letteraria della complessa storia d’amore tra Dovlatov e Asja Pekurovskaja, sua prima moglie, grande passione di gioventù, un rapporto burrascoso e morboso che aveva coinvolto Dovlatov profondamente e gli «aveva fatto perdere la tranquillità». Siamo in America nel 1981, il protagonista, Dalmatov, collaboratore di Radio Svoboda — una emittente che tentava di raggiungere la sterminata massa dei russi rimasti in balia della grottesca disinformazione di Stato, viene inviato a Los Angeles per un convegno sul futuro della Russia. Lì incontra la sua ex moglie Asja. Ritrovarla per caso a tanti anni di distanza, amarla di nuovo ora che lui si è risposato e ha due figli, gli creerebbe troppi problemi. No, Dalmatov/Dovlatov non vuole proprio riallacciare legami con quella donna che bussa alla sua stanza d'albergo. Anche Asja è emigrata negli USA, e ora è in difficoltà, sola, e per giunta incinta... Dovlatov racconta la sua storia d'amore su due piani cronologici: quello del presente — il 1981 — e i primi anni Sessanta a Leningrado. E il ricordo del passato giovanile e sovietico, si interseca con le giornate americane: dal convegno sul futuro della Russia si è sospinti all’indietro, verso la Russia del passato. Proprio in questo romanzo avvertiamo una certa nostalgia per la patria destalinizzata da Krusciov, per la Leningrado degli anni Sessanta piena di attrattive e vitalità, quando «avevamo la libertà e la giovinezza» ed era normale passeggiare lungo la Neva facendosi domande sulla letteratura. Sono pagine in cui Dovlatov offre del suo paese immagini che sorprendono per la vivacità della vita sovietica, che certo non corrispondono al cliché di una Russia grigia e tetra. La consapevolezza del lato buffo e paradossale della natura umana è ancora una volta la cifra della narrativa di Dovlatov che nel suo romanzo più autobiografico, non finisce di stupirci con la sua vena umoristica, l'autoironia, il rovesciamento delle situazioni che volge tutto in beffa.» |
|